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ARGOMENTO:

BG di Lord Sirio Ventrue Parte 1 (Le origini) 13/08/2017 00:29 #1

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Premessa

Questo Account esiste dal 2001 quindi in pochi ricorderanno personaggi e situazioni ma per tutti coloro che decideranno di proseguire nella lettura sappiate che questo racconto contiene cronache e nomi reali.

Madama la morte rimane a guardare tu fai la tua parte e stai ad aspettare, finche non inizia la grande partita e sara sangue per sangue evita per vita!
(Cit. Dylan Dog)
Madama la morte rimane a guardare tu fai la tua parte e stai ad aspettare, finché non inizia la grande partita e sarà sangue per sangue e vita per vita.
Ringraziano per il messaggio: seralone, Duke

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BG di Lord Sirio Ventrue Parte 1 (Le origini) 13/08/2017 00:30 #2

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Aveva nevicato per tutto il giorno. Mentre calava l'oscurità, vicinissima e repentina, Sirio rimase fermo accanto alla finestra osser¬vando dall'alto le minuscole figure nel piazzale di Trinsic. Un perfetto alone di luce cadeva sulla neve sotto ogni lampione. Alcuni patti¬natori scivolavano sulla neve, benché lui non riuscisse a distinguerli con precisione mentre i cavalli arrancavano lente sulle strade buie.
Alla sua destra e alla sua sinistra era un affollarsi di alberi. Ma nulla si frapponeva tra lui e la luna.
Amava quel panorama; restava sempre stupito quando gli altri lo trovavano così insolito, quando un Mastro Carpentiere venuto a riparare un macchinario sosteneva di non aver mai visto Trinsic così, prima. Peccato che non ci fosse una torre di marmo per tutti, che non ci fosse una serie di torri in cui chiunque potesse recarsi per guardare fuori da altezze diverse.
Madama la morte rimane a guardare tu fai la tua parte e stai ad aspettare, finché non inizia la grande partita e sarà sangue per sangue e vita per vita.

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BG di Lord Sirio Ventrue Parte 1 (Le origini) 13/08/2017 00:31 #3

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Parecchi mesi antecedenti a quella sera


Senza bussare, Zodd ruotò il pomolo ed entrò in una camera angu¬sta ma elegante. L'unica a occuparla era una donna dai capelli grigi che alzò gli occhi dalla scrivania con palese ma intrepido stupore.
Proprio quello che aveva sperato. Si avvicinò allo scrittoio.
La donna teneva la sinistra su un libro aperto e, con l'altra mano, stava sottolineando alcune parole.
Boezio. De differentiis topicis. Lei aveva evidenziato la frase: «Il sillogismo è un discorso nel quale, una volta stabilite e accet¬tate determinate premesse, deve risultare grazie alle premesse ac¬cettate qualcosa di diverso da esse».
Lui scoppiò a ridere. «Mi scusi», le disse poi.
Lei lo stava fissando. Non aveva ancora mosso un muscolo da quando lui era entrato.
«È così, ma suona buffo, non trova? Lo avevo dimenticato.»
«Chi è lei?» chiese la donna.
La sua voce roca, forse a causa dell'età, lo sbalordì. I folti ca¬pelli grigi erano raccolti sulla nuca in una crocchia dallo stile an¬tiquato invece che nell'asessuata coda di cavallo attualmente di moda.
«Mi sto comportando da vero maleducato, lo so», dichiarò lui. «E me ne accorgo sempre, le chiedo scusa.»
«Chi è lei?» domandò di nuovo la donna, quasi con lo stesso tono di prima, ma stavolta fece una pausa tra una parola e l'altra, come a enfatizzarle.
«Cosa sono?» la corresse lui. «È questa la domanda davvero importante. Sa che cosa sono?»
«No. Dovrei?»
«Non lo so. Osservi le mie mani. Guardi come sono lunghe e sottili.»
«Delicate», commentò lei con la stessa voce rauca, mentre gli occhi, dopo una breve occhiata alle mani, tornavano rapidamen¬te sul viso dello sconosciuto. «Perché è entrato qui?»
«Ho i metodi di un bambino», le rispose. «È il mio solo mo¬do d'agire.»
«Allora?»
«Ha saputo che Caine La Marten è morto?»
La donna resse il suo sguardo per un istante, poi scivolò all'indietro sulla sedia, e la mano destra lasciò cadere l'evidenziatore verde. Distolse lo sguardo. Era stata una rivelazione terribile.
«Chi gliel'ha detto?» domandò. «Lo sanno, gli altri dell’Ordine?»
«Non sembrerebbe», le rispose.
«Sapevo che non sarebbe tornato», ammise lei. Serrò le lab¬bra così forte che le profonde rughe sopra il labbro superiore ap¬parvero per un attimo nettissime e scure. «Perché è venuto a dir¬lo a me?»
«Per vedere che cosa avrebbe risposto. Per scoprire fino a che punto amavate il nostro signore.»
«Che cosa?»
«Ha sentito quello che ho detto? Mi presento Sono Zodd L’immortale, conosciuto in queste terre sia per le mie gesta che per l’amicizia che mi legava a Caine»
Lei si alzò lentamente dalla sedia e gli scoccò un'occhiata crudele, soprattutto ora che si rendeva conto di quant'era alto. Guardò la porta, sembrò quasi volersi muovere verso di essa, ma lui alzò una mano, pregandola gentilmente di pazientare.
La donna soppesò il gesto.
«Sta dicendo che Caine è stato ucciso?» chiese. Le sue so¬pracciglia si inarcarono, folte, sopra la montatura argentea degli occhiali.
Stavolta lei chiuse gli occhi come se, incapace di muoversi, vo¬lesse concedersi di percepire sino in fondo l'impatto di quella notizia. Guardò fisso davanti a sé, uno sguardo stanco, distrutta nello spirito e nel cuore.
Una sola cosa le venne da fare…..un gesto umano, si mise a piangere, e valli di lacrime cascarono per tutta la notte che lenta seguiva il corso.


«Hai una lingua crudele Zodd.»
«Davvero? Può darsi Kaaryn.»
«Che cosa facciamo adesso?»
«Non so quale sarà la nostra prossima mossa. Se Sergio Baracco non torna entro domattina credo che dovremmo andarcene.»
«Ma a me il Trinsic piace», borbottò l’elfa. Si lasciò cadere in avanti, chiudendo gli occhi poco prima di toccare il cu¬scino.
Cadde in un sonno profondo. Sognò che stava attraversando il corridoio nel suo palazzo. Le piastrelle di mar¬mo del pavimento erano state appena lucidate e riusciva a distinguerne i colori e il modo in cui cambiavano a seconda della tinta che avevano accanto. Il Palazo che per anni aveva imparato a considerare come la sua seconda casa.
Il palazzo dell’Ordine del Drago Nero.
Madama la morte rimane a guardare tu fai la tua parte e stai ad aspettare, finché non inizia la grande partita e sarà sangue per sangue e vita per vita.

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BG di Lord Sirio Ventrue Parte 1 (Le origini) 13/08/2017 00:32 #4

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L'incontro -- Parte 1°

Nel mese di Dicembre, mentre Trinsic stava gelando, erano tempi duri, L'Ordine del drago nero era dispero, Zodd, Kaaryn e Sergio Baracco latitavano in diverse milizie come Mercenari, senza una causa, senza una casa.
Solo io e pochi uomini eravamo rimasti a difendere quelle mura.
In quei giorni cominciai a vedere regolarmente tra il pubblico una faccia strana che mi distraeva sempre. A volte riusciva quasi a farmi dimenticare ciò che facevo. E poi spariva, come se l'avessi immaginata.
Dovevo averla vista, a intervalli, per circa due settimane, prima che mi decidessi a parlarne a Barto.
Mi sentivo ridicolo, ed era diffìcile esprimermi a parole.
«Là fuori c'è qualcuno che mi osserva», gli dissi.
«Ti osservano tutti», replicò Barto. «Sei il capo dei nuovi dragoni di Trinsic! E leyia ti rspetta, dandoti pieni poteri e autonomia»
«Sai cosa me ne faccio del rispetto di una donna che nemmeno conosco»
«Taci Insolente, non mancarle mai piu di rispetto.»
Quella sera era un po' triste, e la sua risposta fu leggermente brusca.
M'interruppi perché di colpo vidi di nuovo la faccia misteriosa, e una sensazione oscura passò su di me, una specie di premonizione. Tuttavia quella faccia sconvolgente di solito sorrideva, e questa era la cosa strana. Sì, sorrideva.., si divertiva...
«Sirio, ti rispetto», disse solennemente Barto. «Ti rispetto come ho rispettato poche persone nella mia vita. Ma sei un vero sciocco con tutte le tue idee sul bene e sul dovere.»
Risi. «Barto», dissi, «posso vivere senza Dei. Posso vivere persino con l'idea che non vi sia un aldilà. Ma non credo che potrei conti¬nuare se non credessi nella possibilità del bene. Per una volta, anziché irridermi, perché non mi dici in che cosa credi?»
«Secondo me», rispose, «c'è la debolezza e c'è la forza. E c'è l'arte buona e l'arte cattiva. Ecco in che cosa credo. In questo momento, siamo impegnati a creare un impero piuttosto scadente, e questo non ha nulla a che vedere con il bene!»
La «nostra conversazione» avrebbe potuto trasformarsi a questo punto in un vero litigio se avessi detto tutto ciò che avevo in mente a proposito della pomposità borghese. Credevo sinceramente che il nostro lavoro all'interno di quelle mura fosse sotto molti aspetti migliore di ciò che vedevo nelle grandi città. Soltanto la cornice era meno impressionante. Perché un borghese gentiluomo non poteva dimenticare quella cornice? Com'era possibile indurlo a vedere qualcosa che non fosse la superficie?
Respirai profondamente.
«Se il bene esiste», disse Barto, «allora io sono il suo contrario. Sono malvagio e me ne glorio. Sbeffeggio il bene. E se proprio ci tieni a saperlo, non combatto per rendere felici gli idioti che vengono da Britannia. Combatto per me, per Barto.»
Non volevo ascoltare altro. Era tempo di andare a letto. Ma ero ferito da quel dialogo, e lui lo sapeva; e quando cominciai a togliermi gli stivali, si alzò dalla sedia e venne a sedersi vicino a me.
«Scusami», disse con voce spezzata. Era così cambiato rispetto a un minuto prima che alzai gli occhi: appariva tanto giovane e avvilito che non potei fare a meno di abbracciarlo e dirgli che non doveva più preoccuparsi.
«Hai in te una sorta di luminosità, Sirio», mi disse. «E attira tutti. È presente anche quando sei furioso o scoraggiato...»
«Poesia», dissi. «Siamo stanchi tutti e due.»
«Vedo soltanto una faccia. Deve indossare qualcosa di nero, un mantello e persino un cappuccio. Ma la faccia mi sembra una maschera, bianchissima e stranamente nitida. Voglio dire, le rughe sono così profonde da sembrare tracciate con il cerone nero. La vedo per un momento. E splende. Quando guardo di nuovo, non c'è nessuno. La mia è senz'altro un'esagerazione. È qualcosa di molto più sottile, il suo modo di guardare... tuttavia...»
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BG di Lord Sirio Ventrue Parte 1 (Le origini) 13/08/2017 00:34 #5

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L'incontro --- Parte 2°


Saranno state le tre del mattino quando sentii nel sonno le campane della chiesa.
E, come tutti coloro che a Trinsic avevano un po' di buon senso, tenevamo la porta sbarrata e la finestra ben chiusa. Non era l'ideale per una stanza dove ardeva un fuoco di carbone; ma il tetto era un sentiero per giungere alla nostra finestra. Perciò ci eravamo chiusi dentro.
Sognavo i Demoni, mio padre. Ero sulla montagna, circondato, e mulinavo quella strana spada rossa. Poi i demoni erano di nuovo morti, e il sogno era meno terribile, ma dovevo camminare nella neve per tutte quelle miglia. Sulla neve, la cavalla urlava. Si trasformava in un insetto ripugnante, semischiacciato sul pavimento di pietra.
Una voce disse «Uccisore di Demoni», in un bisbiglio protratto che era come una chiamata e nel contempo un omaggio.
Aprii gli occhi. O credetti di aprirli. E nella stanza c'era qualcuno. Una figura alta e curva che voltava le spalle al nostro caminetto. Nel focolare brillavano ancora le braci. La luce saliva, delineava nitidamente i contorni della figura femminile che mi si poneva davanti, quindi si spegneva prima di lambire le spalle e la testa. Ma capivo che stavo guardando la faccia bianca vista tra i miei gildati; e la mia mente che si schiudeva e diventava più acuta si rendeva conto che la stanza era chiusa a chiave, che Barto era sdraiato accanto a me e che quella figura stava sopra il nostro letto. Sentivo il respiro di Barto. E scrutavo la faccia bianca.
«Uccisore di Demoni», disse nuovamente la voce. Ma le labbra non si erano mosse. La figura venne più vicina e vidi che la faccia non era una maschera. Occhi neri, svelti e calcolatori, e pelle bianca.

Mi alzai, credo. O forse venni sollevato. In un istante mi trovai in piedi. Il sonno mi scivolava di dosso, e io indietreggiavo contro la parete.
La figura aveva nelle mani il mio mantello rosso. Pensai disperata¬mente alla mia spada e ai miei moschetti. Erano sul pavimento, sotto il letto. L'essere spinse verso di me il mantello rosso; poi, attraverso il velluto foderato di pelliccia, sentii la sua mano chiudersi sul bavero della mia giacca.
Mi sentii strattonare in avanti, e sollevare da terra. Gridai per chia¬mare Barto.
Urlai «Bart, Bart!» più forte che potei. Vidi la fine¬stra aperta parzialmente, e all'improvviso il vetro esplose in mille frammenti e la cornice di legno si spezzò. Volai sopra il vicolo, a sei piani da terra.
Urlai. Scalciai contro l'essere che mi trasportava. Impigliato nel mantello rosso, mi contorsi nel tentativo di liberarmi.
Ma stavamo volando sopra i tetti, salivamo la superfìcie verticale d'un muro di mattoni! Pendevo dal braccio dell'essere. E all'improvviso, su un pianoro altissimo, fui buttato a terra.
Per un momento rimasi steso a guardare Parigi, spiegata davanti a me in un grande cerchio... la neve bianca e i comignoli e i campanili delle chiese e il cielo cupo. Poi mi alzai, inciampai nel mantello foderato di pelliccia e cominciai a correre. Corsi fino all'orlo del pianoro e guardai giù. C'era uno strapiombo di centinaia di piedi. Corsi a un al¬tro angolo, ed era esattamente lo stesso. Per poco non caddi.
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BG di Lord Sirio Ventrue Parte 1 (Le origini) 13/08/2017 00:35 #6

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L'incontro --- Parte 3°

Mi voltai disperato, ansimando. Eravamo in cima a una torre quadrata, non più ampia di cinquanta piedi. E non vedevo nulla di più alto in nessuna direzione. La figura mi fissava, ed emetteva una risata sottile, simile al bisbiglio di poco prima.
«Uccisore di Demoni», ripeté.

«Che cosa vuoi da me?» chiesi. «Chi sei?»

Calò il Cappuccio, «Mi presento Sono Leyla La Marten. Figlia di Zolthan....piccolo, forte, coraggioso Uccisore di Demoni», mi disse la figura con una voce più sonora e profonda.

«Oh, Idior, aiutami, aiutami...» dissi mentre indietreggiavo. Mi pareva impossibile che quella faccia si muovesse, mostrasse un'espressione e mi guardasse con tanto affetto. «Idior!»

«A quale dio alludi, Uccisore di Demoni?» chiese l'essere.
Gli voltai le spalle e proruppi in un ruggito terribile. Sentii le sue mani chiudersi sulle mie spalle come oggetti forgiati di metallo, e mentre piombavo in un'ultima, frenetica resistenza, mi fece girare con vio¬lenza in modo che mi trovai con i suoi occhi davanti, spalancati e scuri, mentre le labbra erano chiuse e tuttavia ancora sorridenti. Quindi si chinò e io sentii la puntura dei denti nel collo.
E da tutte le fiabe dell'infanzia, le vecchie favole, tornò alla mia memoria il nome, come un animale annegato che risalga alla superficie dell'acqua nera e si liberi nella luce.
«Vampiro!» proruppi in un ultimo grido convulso, e respinsi l'essere con tutte le mie forze.
Poi vi fu un silenzio. L'immobilità.
Sapevo che eravamo ancora sul tetto. Sapevo che l'essere mi teneva tra le braccia. Tuttavia sembrava che fossimo saliti e avessimo perso ogni peso e ci muovessimo nell'oscurità ancora più agevolmente di prima,
«Sì, sì», avrei voluto dire. «Esattamente.»
E un gran fragore echeggiò tutto intorno a me e mi avviluppò; forse era il suono di un gong immenso, battuto con grande lentezza e in un ritmo perfetto. Il suono mi pervadeva, e provavo un piacere straordi¬nario che mi si diffondeva in tutte le membra.
Le mie labbra si muovevano, ma non ne usciva il minimo suono; nondimeno, nulla aveva importanza. Tutte le cose che avevo desiderato dire nella vita mi erano chiare, e questo era ciò che contava... anche se non veniva espresso. E c'era tanto tempo, tempo per dire qualunque cosa e fare qualunque cosa. Non c'era nessuna urgenza.
Estasi. Pronunciai quella parola e mi parve chiarissima, sebbene non potessi neppure muovere le labbra. Mi accorsi che non respiravo più. Tuttavia c'era qualcosa che mi faceva respirare. Respirava per me, al ritmo del gong che non aveva nulla a che fare con il mio corpo; e io amavo quel ritmo, il modo in cui continuava all'infinito, e non dovevo più respirare né parlare né conoscere qualcosa....
Cioe che fino ad allora era stata la mia vita mi passò davanti, mio padre Samuel, mia sorella Sissy, mia madre, Barto....
Mia madre mi sorrise. E io dissi: «Ti amo...» e lei disse: «Sì, sem¬pre, sempre...» Ero seduto nella biblioteca di Magincia e avevo sedici anni, il monaco mi diceva «Un grande studioso», e io aprivo tutti i libri e potevo leggere tutto. Le lettere mi¬niate erano di una bellezza indescrivibile, e io mi voltavo verso i miei uomini, che in suo nome avevo guidato in battaglia, Disse «Uccisore di Demoni», e Barto corse verso di me, supplicandomi di tornare. Aveva il volto colmo d'angoscia, i capelli scomposti, gli occhi orlati di sangue. Cercò di afferrarmi. Io dissi: «Bart, stammi lontano!» e mi resi conto, con una sofferenza concreta, che il suono del gong svaniva in lontananza.
Gridai. Implorai. Non smettere, ti prego, ti prego. Non voglio... non voglio... ti prego.
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BG di Lord Sirio Ventrue Parte 1 (Le origini) 13/08/2017 00:37 #7

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L'Istruzione.
1° Lezione --- Accenni sui nostri antenati.

Si accostò un poco. La luce della torcia gli brillava nelle pupille. «Agli occhi dei loro cari, sembravano morire», disse Leyia. «E con una piccola infusione del nostro sangue sopportavano il terrore del sepolcro mentre ci attendevano. Allora e soltanto allora veniva accordato il Dono Tenebroso; e venivano sigillati di nuovo nella tomba, fino a che la sete dava loro la forza di spezzare la bara e di risorgere.»
La voce diventò più forte, risonante. «Era la morte, ciò che conoscevano in quelle camere buie», continuò. «E quando risorgevano comprendevano la morte e il potere del male, mentre spezzavano la bara e le porte di ferro che li tenevano imprigionati. E tanto peggio per i deboli, coloro che non potevano uscire, coloro i cui gemiti facevano accorrere i mortali il giorno dopo... perché nessuno avrebbe risposto durante la notte. Non avevamo pietà di loro.
«Ma coloro che risorgevano... ah, erano i vampiri che si aggiravano sulla terra, purificati e messi alla prova, Figli delle Tenebre, nati dal sangue di un novizio, mai dal potere pieno di un vecchio maestro, in modo che il tempo portasse la saggezza per usare i Doni Tenebrosi prima che diventassero veramente forti. A costoro venivano imposte le Leggi delle Tenebre. Vivere tra i morti, perché siamo morti; ritornare sempre alla propria tomba o a una molto simile; evitare i luoghi illuminati, attirare le vittime lontano dagli altri, per ucciderle in luoghi scon¬sacrati: e onorare in eterno la potenza di Idior, i suoi sacramenti; e non entrare mai nella Casa di Idior per non essere privati dei poteri, gettati nell'inferno e finire il regno sulla terra fra i tormenti.»
Tacque. Per la prima volta guardò la Leyia; e, per quanto non fossi sicuro, ebbi l'impressione che il suo era uno sguardo amorevole.
Ascoltai le storie sui miei antenati, passai intere notti, dove tramonto e alba si perdevano nei minuti che pian piano si susseguivano uno dietro l'altro.
Si voltò, esitò come se non volesse proseguire, e girò lo sguardo nell'immensa cripta.
Poi incominciò a dondolarsi, con la testa da una parte, gli occhi sognanti. Ancora una volta, sembrava bella.
Si portò le mani agli orecchi in un gesto stranamente umano. Sembrava quasi una ragazza sperduta. Per Idior, era strano che i nostri corpi immortali potessero essere per noi prigioni così variate, e che le nostre facce immortali potessero essere maschere per le nostre vere anime.

Rimasi piuttosto turbato. Non avevo mai immaginato che una donna potesse provare o esprimere simili pensieri.
Avrei desiderato dirle cosa provavo nel vedere il mondo adesso, ma preferii tacere....
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BG di Lord Sirio Ventrue Parte 1 (Le origini) 13/08/2017 00:39 #8

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L'istruzione
2° Lezione --- La Sete.

Un vampiro divide la sua esistenza con l’orrore. La consapevolezza della sete grava sempre come un demone sulle nostre spalle. E sempre si avvicina, sempre… a volte lenta e furtiva, altre improvvisa, ma mai inesauribile; non potrà mai estinguersi completamente.
Sete, la chiamiamo così, ma il termine è tristemente inadeguato. I mortali conoscono i morsi della fame, anche l’inedia, ma non esiste paragone. La sete prende in noi il posto di quasi tutti i bisogni, di ogni istinto noto agli esseri viventi: fame, sete, ambizione, sesso, senso di sicurezza, ed è più impellente di tutti questi messi insieme.
Più che un impulso è una droga, alla quale siamo assuefati senza speranza di salvezza sin dalla nascita. Cibarsi di sangue è per noi non solo una questione di sopravvivenza, ma anche un piacere indescrivibile. La sete è un’estasi mentale, fisica e spirituale, al cui cospetto tutti i piaceri dei mortali svaniscono.
Essere vampiro vuol dire essere schiavi della sete. La bestia che dimora in noi può essere soggiogata solo con un enorme sforzo di volontà; lasciare la sete insoddisfatta permette alla bestia di scatenarsi e niente potrà trattenerla. A causa di ciò siamo costretti a compiere azioni mostruose, in modo da non diventare noi stessi dei mostri: questa è l’essenza del dilemma. Siamo mostri per timore di diventarlo in seguito. Questo è il paradossi della vita di un vampiro. E la mia personale maledizione.
La bestia si dibatte incessantemente in cerca di libertà, e solo un’enorme forza di volontà è in grado di trattenerla. A volte spezza le catene e si ribella finché non viene nuovamente catturata. Gli sforzi dell’autocontrollo e la vergogna che si prova ricordando i tentativi falliti nel tenerla a bada sono difficili da sopportare. Ancora peggiore è la consapevolezza, costante come la sete, di sapere che tutto sarà destinato a ripetersi. Per decenni e secoli la consapevolezza rode la mente come i topi le funi delle navi.
Essere vampiro vuol dire essere sull’orlo della follia. La devozione ossessiva ad uno scopo personale può contribuire a scacciare la disperazione e, se il compito che ci si propone è di gran valore, è possibile pensare che il fine giustifichi i mezzi. Alcuni si abbandonano deliberatamente a vizi e manie, come il gioco d’azzardo o le opere d’arte. Altri si chiudono in se stessi e restringono il loro territorio di caccia ad una piccola area poco popolata, dicendo a se stessi che lo fanno per proteggere il resto del mondo . Tutto quanto detto sopra può forse ritardare il manifestarsi della follia, ma anche crearle un terreno fertile in cui affondare le prime radici.
Alla fine, per quanto si possa strenuamente combatterla, la follia ci attende al varco. La fiamma dell’umanità si affievolisce sempre più, finché non si spegne del tutto. Sarà allora che la bestia trionferà, e noi diverremo realmente dei mostri.
La bestia si annida nei nostri cuori e ci spinge verso il male, ma quando oltrepasserà le soglie dell’anima, allora noi saremo il male. Alcuni fratelli parlano di Golconda, la salvezza dei vampiri. Sia il credo mortale che quello vampirico negano ala nostra razza la grazia divina, ma una volta raggiunta Golconda potremo trovare la soluzione al Dilemma che ci tormenta. E’ una stasi, uno stato in cui un vampiro è in grado di bilanciare l’uomo e la bestia, in modo che la battaglia che essi combattono no abbia più ragione di esistere. La discesa nel baratro della follia viene fermata e, anche se il vampiro non può più considerarsi uomo nelle azioni e nei pensieri, l’Humanitas che rimane è salva.
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Avanti Verso il Futuro --- Capitolo Conclusivo

Salii le scale, lasciando che il mio corpo trovasse il suo peso umano e il suo passo umano.
Rimasi fermo al secondo piano dell'edificio. Mi appoggiai al muro, i miei occhi che si posavano con risoluta tranquillità sul pavimento di pino verniciato. La luce creava pozze di giallo sulle assi.
«Sono qui, giovane.» La voce risuonò improvvisa, dolce, accogliente.
La mia creatrice era ferma sul pianerottolo appena sotto di me, dopo aver salito i gradini seguendomi o, più probabilmente, grazie ai suoi poteri, dopo essersi piazzata lì, coprendo la distanza con velocità silenziosa e invisi-bile.
«Leyia», dissi, accennando un sorriso.
«Sei un vero portento, giovane», mi disse lei, sorridendo. Giovane! Chi altri mi avrebbe chiamato così se non Leyia, la mia creatrice, e cosa sono per lei cinquecento anni? «Hai raggiunto il sole», continuò con la stessa palese premura stampata sul viso gentile. «E ne sei uscito vivo.»
Inizialmente non capii subito quelle parole,
Ero morto e risorto a nuova vita.
All'interno di quel palazzo avevo appreso chi ero.
Lei salì i gradini per essermi più vicina, ma si mantenne per educazione a distanza. È sempre stato una gentildonna, persino prima che esistesse questa parola.
Le porsi la mano...

«Andiamo a Trinsic il Nostro esercito ci attende.»
«Che L'ordine del Dragone Risorga!»
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