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L'Inizio di un lungo cammino. 13 May 2015 00:27 #1

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Tre giorni di viaggio, quasi noiosi oserei dire se non avessi incontrato quel gruppo di Elfi. Se non altro ho potuto affilare la lama sulle loro minuscole, fetide gole.
Volevano cacciare me e son finiti cacciati.
Un viaggio tranquillo attraverso le foreste fino alle Montagne di Ice Dungeon. Le rocce assumono uno strano colore, un gioco di luci ed ombre trasforma gli spuntoni della terra in simil cristalli che riflettono la luce. Sento uno strano brivido lungo il collo, non è un buon segno, devo essere prudente.
Ricordo ancora gli occhi del maestro Azhoral mesi addietro, quando sono passato per avvertirlo che sarei stato via per parecchio tempo, a caccia di teste.
Ha protestato. Non era d'accordo, sa annusare l'aria, e mi ha ricordato che questa settimana la luna è calante, Ice Dungeon non promette nulla di buono.
Non lo sono stato a sentire, mi vibra la pelle, sono stato fermo a lungo, troppo. Anche la cicatrice sulla gamba sembra essersi rimarginata e la puzza di sangue è ormai lontana.
Ne ho voglia di nuovo.
Lui lo sente, vorrebbe opporsi ma resta in silenzio mentre mi allaccia intorno al collo questo strano ciondolo di onice, nero come la torva paura, non dice nulla.
Strano, da allora non ci ho più pensato. L'ho infilato sotto la camicia e dimenticato, fino a stamattina. Stanotte ho sognato, mentre dormivo in quella caverna di muschio, che una maga dai lunghi riccioli neri mi carezzava il petto fino al punto del ciondolo. Quando ho aperto gli occhi lo stringevo tra le mani.
Ero infastidito, le donne sono solo guai. Ricordo cosa ha fatto a mia madre. Da lei ho ereditato questo corpo, da mio padre il potere dei sensi e dell'occulto. Mia madre non ha saputo neanche combattere quell'amore per un demone. Che sciocca donna! Ha preferito morire e darmi alla luce, priva di ogni umana ragione nel bisogno dell'abbandono del cuore.

Sarà il sogno, la foschia, ho ancora sonno. E' già tardi, l'alba s'è svegliata da un pezzo, meglio concentrarmi e prepararmi al lavoro.
Mi ci è voluto molto per trovare queste informazioni. Quel povero cartografo ha pagato caro il silenzio. Mesi di ricerche, di giuste cause per questa mappa. Puzza ancora di vino e tempo, ma adesso è nelle mie mani e finalmente mi porterà nella terre di Papua.
So che è là sopra da qualche parte, il versante è quello giusto. Devo solo trovare un grosso cespuglio di rovi neri e di morte; dietro ad esso troverò la dimora del Sommo Elohim.
Non ho capito cosa accadrà dentro quel posto.
Dicono che lì potrò anche trovare la mappa per il sentiero finale che conduce nella terra agognata.
Inizio a salire il pendio, il naso e gli occhi vigili, il mantello avvolge le mie membra. Non sento il freddo o l'umidità, non ne ho il tempo, quello che devo fare è lì in attesa, ed io odio farmi attendere.
I rumori della foresta qui non si odono, non sento nemmeno i miei passi sull'erba, questa nebbia sembra ovattare anche i rumori.
Cammino da circa quattro ore ormai, devo aver girato in tondo, dannata nebbia!
Un odore come di carcassa mi solletica le narici, teso e pronto all'attacco mi avvicino, un enorme cespuglio di rovi è lì. Sorrido compiaciuto della meta e capisco cos'è questa carogna.
Animali, a decine, di tutte le specie, intrappolati dalle spine, alcuni completamente mangiati dal tempo e dagli insetti, altri decomposti da piccole larve bianche che ne consumano le carni.
Ghigno silenzioso, penso che come deterrente è davvero poco.
Passo oltre, la dimora è illuminata da uno strano muschio sulle pareti. Luci soffuse, suolo roccioso, nebbia rossastra mi attanaglia le caviglie. Tutto è silenzio, quasi riesco a toccarlo.
Finalmente giungo alla fine della dimora, la nebbia stavolta avviluppa anche le gambe, umida e pesante. C'è una porta, è in legno, rinforzata con dell'ottone. Mi avvicino lentamente, sento qualcosa alla mia destra, qualcosa di affilato.
Non me lo dico due volte e un pastore di Idior è già nelle mie mani, fende l'aria e devio il colpo verso il basso. C'è un uomo davanti a me, è coperto di nero e il viso scoperto segnato da una cicatrice. Impugna una spada nera anch'essa, ha venature arcane rosse, il suo sorriso è sinistro, non è uno sprovveduto, forse una guardia personale.
Sembra che la giornata finalmente vedrà qualche vestito lacero e sangue scorrere.
Gli sono davanti, arma in pugno, aspetto di vedere cosa sa fare. Il ciondolo al collo sembra riscaldarsi, ma non voglio pensarci. Adesso ho una faccenda da sbrigare.
L'uomo scatta in avanti, uno stordente calcolato, non troppo pericoloso, ma è saetta, saggia la velocità dei miei riflessi, riesco a deviarlo.
Ritenta un colpo a lato, partendo dal basso, facendolo salire. Giro su me stesso, accompagno il movimento della mia spada verso la sua testa. Ma è rapido, il bastardo, e già è pronto a difendersi. Le armi si scontrano, scintille di potere e fatica.
Proseguiamo, possenti, parate, sempre simili. Deve essere quella dannata mazza! Lo rende imprendibile, ma devo cavarmela.
Ecco che riparte, si sposta di lato, avanza la mazza, il colpo non si ferma, viene solo deviato.
Maledizione, mi ha ferito! Il dolore che sento è inesprimibile, è come se mi avesse ferito anche l'anima oltre che la carne.
Ora è il mio turno. Lo attacco frontalmente, la spada cala a destra, una mossa abbastanza semplice e prevedibile, la para facilmente, incrociamo le armi, siamo faccia a faccia, vedo nei suoi occhi la purezza...
Le armi ancora incrociate, sposto il peso del mio corpo verso destra, aprendo un lieve varco a sinistra, se ne accorge, ritrae la mazza e punta al fianco scoperto. Era quello che volevo, roteo su me stesso, sento la sua mazza che tocca la mia carne, sento il fianco bruciare proprio mentre concludo il mio giro e l'anima del Sommo Elohim lo decapita di netto.
Perdo l'equilibrio e finisco contro il muro. Mi sembra d'aver combattuto un'eternità.
Resto un attimo poggiato alla parete di roccia, stavolta c'è mancato davvero poco. La gamba e il fianco mi fanno tremendamente male, ma almeno il mio potere di rigenerazione ha fermato l'emorragia.
Osservo le ombre del corpo del mio avversario sotto la foschia, davvero in gamba, ma non abbastanza.

E ora la parte difficile. Il ciondolo è più caldo, sembra un avvertimento.
Mi avvicino alla porta, e con fiero cipiglio entro.
La stanza è come la immaginavo, luce bassa, candele, pareti piene di libri e carte ingiallite. Il misto di pergamene, pagine di libri umide e reagenti per pozioni ed incantesimi crea nel loco un odore acre, molto forte, quasi pungente.
Al centro della stanza, seduto ad una scrivania ingombra di libri sapienza c'è lui. Un ometto non tanto alto, calvo, indossa vesti nere, tipiche dei Negromanti, e porta i segni del male cuciti su di esse con trame d'argento.
Non mi guarda nemmeno, sa perché sono venuto e non vuole darmi nemmeno un secondo per chiedere.
Lo guardo livido di rabbia, mi punta sul viso un anello d'oro e mormora delle arcane parole.
Una saetta! Non capisco... si sprigiona dal gioiello e mi scaraventa contro una libreria, ho il fiato corto e il petto bruciante.
Ma non è l'anello, è il ciondolo!
Ha in qualche maniera intrappolato la sua magia, tiro la catena che lo lega al mio collo pulsante e lo lancio verso di lui.
La sua veste si spiega al contatto dell'amuleto, odo come un esplosione, gli scaffali vomitano il loro contenuto, schizzi di vetri e sangue.

Immobile, quiete. Un solo respiro affaticato, vive ancora quella creatura, riuscirò anche nella mia vendetta.

Cerco la mappa, gliela trovo addosso, in una sacca di velluto. La leggo, Papua è vicina.
Corro ed è una corsa a perdifiato, fuori dall'angusta galleria. C'è il sole alto nel cielo, sarà mezzogiorno.
Allaccio gli stivali, so che questo è solo l'inizio.
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